Pensando alla parola fragilità che cosa ti viene in mente?
Vanno bene parole, immagini, emozioni. Così, d’impatto, prova a farci caso.
Solitamente vengono associate parole o immagini con valenza negativa, distruttiva… eppure… Essere fragili significa spezzarsi, non distruggersi. Tutto quello che si spezza può essere ricostituito, prendendo una nuova forma magari, ma non per forza dev’essere gettato, rovinato. Pensa ad un ramo, c’è una tempesta così forte che il fulmine lo spezza a metà e lo fa cadere. Quel ramo ha finito la sua utilità? Probabilmente ha finito di stare sull’albero ma può essere ricomposto, uno di noi lo può trovare e farne un’altro uso oppure la natura può fare il suo corso. Lo stesso vale per noi esseri umani. Possiamo sentirci travolti da un evento negativo e renderci conto che qualcosa in noi è cambiato, è diverso. Se però, dedichiamo del tempo a capire quale stato d’animo stiamo vivendo, consentendoci il diritto di soffrire possiamo in un secondo, terzo momento riuscire a ricostituirci proprio come il ramo. Possiamo diventare più forti proprio nel punto in cui quell’evento ci ha spezzato.
L’EPOCA DELL’ESSERE INVINCIBILI
La società contemporanea è considerata la società del benessere. Per quanto frenetica e folle, ci consente di godere di privilegi che fino a 70 anni fa i nostri nonni si sognavano. Il costo però, di tutto questo benessere, può risultare davvero esagerato. I ritmi di vita e di lavoro che ci vengono richiesti spesso sono folli, le norme psicosociali a cui rispondere prevedono standard sempre più elevati. Essere sempre impeccabili, felici, soddisfatti e pieni di energia sembra un dovere nei confronti di una società che ci da così tanto. La definirei l’epoca dell’essere invincibili. Meglio essere forti e invincibili piuttosto che fragili no? Spero tu stia storcendo il naso… Lungi da me voler farti arrivare il messaggio che cercare di essere forti e mostrare buona volontà sia un errore, anzi. Penso che ognuno di noi abbia il dovere verso se stesso di imparare, per prove ed errori, ad essere sempre più resiliente ma appunto, verso se stesso. Non verso gli altri. Invece, spesso, mi sembra che sia più un cercare di apparire… felice. Cercare di apparire… invincibile. E questo, a volte, lo faccio anche io. D’altronde come si fa ad essere sempre così pronti a rispondere delle conseguenze che ha mostrasi fragile, scontento, vulnerabile. Penso che sia necessario recuperare autenticità almeno con noi stessi, essere sinceri con le emozioni, i sentimenti che proviamo almeno con noi, affrontarli e non oscurarli.
L’ARTE DI ESSERE FRAGILI
C’è un libro molto bello a mio avviso, L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita di Alessandro D’Avenia, in cui viene raccontato come, lasciando da parte la paura di essere fragili e, imparando ad esserlo, si può arrivare alla felicità. Intesa come il saper guardare alle piccole cose. D’Avenia all’interno del libro compie un percorso riflessivo attraverso un dialogo con Giacomo Leopardi. Riesce a far emergere come nei suoi racconti, il grande autore, parli del dolore per farne terapia e non distruzione. Mostra come, attraverso il presentare – letteralmente – nero su bianco, gli eventi tristi e cupi della sua vita riesca a far scorgere sempre speranza e la felcità nelle piccole cose. Ti lascio qui il link di un’intervista illuminante fatta ad Alessandro D’Avenia, ti consiglio di guardarla per cogliere il messaggio di questo articolo. Anzi, rubo qualche riga per dirti cosa ho estrapolato io dalle parole di D’Avenia e Leopardi.
L’importanza di vivere il dolore nel momento presente, anche se ci fa sentire imperfetti e inadeguati. Sarà proprio questo sentirci imperfetti che ci darà la forza di comprendere quello che desideriamo per il nostro futuro e lavorare sul nostro presente per raggiungerlo. Evitare quelle emozioni che ci fanno sentire spaventati, tristi, angosciati non è altro che posticipare il vivere di quel dolore, amplificandole. Abbiamo il diritto di sentirci fragili, di mostrare fragilità. Dovremmo cercare di guardare più in profondità le nostre emozioni negative e consentirgli, di farci gridare aiuto se è quello che ci serve.
LA QUARANTENA E LA VULNERABILITA’ UMANA
La rivista The Lancet ha analizzato varie ricerche sugli effetti psicologici della quarantena nei casi precedenti al Covid-19 e ha messo in luce alcuni aspetti. In primis, viene evidenziato come i principali risvolti, durante la quarantena, siano sintomi del disturbo post-traumatico da stress, frustrazione, rabbia, noia, confusione, angoscia. Inoltre, vengono presentati degli accorgimenti utili per contenere questi effetti negativi e, uno dei principali, è il reperire e dare informazioni più chiare e coerenti possibili sui comportamenti da tenere.
E’ consigliato mantenere il più possibile contatti con il mondo esterno tramite l’uso di chiamate, videochiamate, social network. Infatti, l’isolamento può portare a sentirsi soli con il proprio bagaglio emotivo e, se non si è abituati ad entrare così tanto in contatto con le proprie emozioni negative, può essere davvero difficile rimanere lucidi. Aderire a sportelli psicologici online, iniziare un percorso terapeutico a distanza è un’ottima scelta. Un altro strumento potentissimo è contentere il senso di impotenza e di inutilità, impegnandosi a progettare desideri che si vogliono realizzare una volta terminata la quarantena o, ove possibile, iniziare fin da subito a crearli magari partendo da un corso di formazione o dalla lettura di un articolo ;-). Inoltre, come ho scritto nell’articolo sulla noia, è utile mantenere chiaro un senso di sè nel mondo, percepire la propria utilità. In questo caso adottare comportamenti altruistici è un ottimo metodo per recuperare senso di efficacia.
MORIRE E’ UNA CERTEZZA
Sentirci così vulnerabili e così stressati ci può far sentire sempre più soli, angosciati ed inefficaci. Tanto da far emerge quella che viene definita in psicologia angoscia di morte. Se ne parla poco, proprio perchè non risponde ai canoni della società del benessere, ma morire è una certezza per ognuno di noi. Più nascondiamo questo fatto più ci rendiamo impreparati ad affrontare la morte, nei diversi modi in cui può presentarsi (la sua concretezza più evidente come la morte di un caro, la sensazione di stare per morire durante un attacco di panico, una pandemia che arresta tutto…). E’ stato dimostarto con la ricerca psicologica, che lavorare per educare alla morte, quindi alla nostra vulnerabilità, aumenta la speranza e l’empowerment della persona spingendola a vivere il famoso momento presente. Spesso non ci rendiamo conto, durante la nostra quotidianità frenetica, dell’insorgere di questa preoccupazione perchè siamo dotati di meccanisimi di difesa che abbiamo imparato ad usare tempestivamente. Però è un’angoscia che esiste ed è sempre presente in noi. Infatti, la paura di morire è la paura più grande per gli esseri umani. Ora siamo costretti a stare fermi, in isolamento e in contatto più profondo con le nostre emozioni e con una dura realtà. Quindi, questa paura può emergere oltre al nostro inconscio e, essendo impreparati, può pervaderci facendoci sentire sempre più angosciati ed esposti.
COSA FARE?
Se è la prima volta che ti trovi a vivere in contatto così forte con il tuo mondo interno la cosa migliore da fare è rivolgerti a psicologi psicoterapeuti formati per aiutarti a vivere con maggiore serenità le tue emozioni. Va benissimo anche se non è la prima volta ma senti che affrontare da solo tutto questo è inneficace. A mio parere va benissimo sempre. Al di là di questo, ci sono delle strategie che possono agevolare il convivere con la propria fragilità. Sicuramente alcuni metodi sono quelli che ti ho elencato sopra facendo riferimento alla rivista The Lancet. Quindi, cercare di mantenere contatto con le persone che ti fanno vivere buone relazioni sociali, condividere i tuoi pensieri ascoltando le tue sensazioni. Progettare, investire su di te ora per dare vita ad alcuni desideri nel tuo prossimo futuro.
Scrivere…
Un’altra tecnica, approfondita in psicologia ed in particolare, nella ricerca sul fine vita è il Narrative Approach. Quindi la scrittura espressiva. Questo metodo prevede l’attraversare il proprio dolore grazie ad un contatto prfondo con i propri pensieri e le proprie emozioni esperite nel momento presente. Come? Scrivendo. Scrivendo come si prefersice. Un diario, lettere, di getto. L’importante è scrivere, un po’ ogni giorno, mettendo al centro di tutto se stessi e il proprio vivere in quel momento. Aiuta a far fluire i pensieri, a scaricare le tensioni, a comprendersi meglio, ad avere più chiaro il significato del proprio stato d’animo. Aiuta il tempo a fare il suo corso.
E tu cosa ne pensi della fragilità umana?
Hai mai adottato la scrittura espressiva?
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Aspetto la tua PsicoRiflessione 😉
Ti lascio qui sotto del materiale di approfondimento:
PDF THE LANCET PSYCHOLOGYCAL EFFECTS OF QURANTINE
Testoni, I. (2015). L’ultima nascita. Psicologia del morire e Death Education. Bollati Boringhieri.
D’Avenia, A. (2016). L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita. Mondadori.
Grazie, Marti.