Se ti chiedessi di rispondere alla domanda: “Chi sei tu?” riusciresti a darmi una risposta esaustiva? Certo, andando oltre a nome, cognome ed informazioni generali reperibili in un ufficio anagrafe. Probabilmente, quello che ti capita è di partire spedito con una serie di aggettivi, ma ad un certo punto ti blocchi. Sembra quasi ci sia un po’ di confusione nella tua testa, ti rendi conto che hai tante informazioni che potresti dirmi per definire chi sei, ma fai fatica ad identificarle chiaramente, ad isolarle le une dalle altre. Non preoccuparti, se ti capita sappi che è comune. Infatti, indipendentemente dal nostro livello di autoconsapevolezza, le informazioni che possediamo su di noi sono di gran lunga maggiori rispetto a conoscenze che abbiamo su ogni altra persona al mondo. Proprio per questo, può essere complesso formulare dei giudizi onnicomprensivi su di noi che possano tenere conto delle innumerevoli sfumature della nostra personalità, del nostro temperamento, comportamento.
Come conosciamo noi stessi?
Nel corso della nostra vita il modo in cui ci definiamo può variare sia in funzione del cambiamento fisico, sia di quello esperienziale / caratteriale. Se ci pensi, quando eri adolescente avevi una certa altezza, un certo peso, un certo atteggiamento, certi valori. Ora, puoi avere un’altra altezza, un’altro peso, altri o nuovi valori. Forse ti starai chiedendo come arriviamo a definirci, cosa facciamo per dire che i nostri valori sono questi piuttosto che quelli, la nostra reazione ad alcune situazioni è così ecc. Utilizziamo l’introspezione, la prima fonte di conoscenza di noi stessi. Introspezione significa osservarsi e riflettere su se stessi, sui propri pensieri, sul prorpio modo di vivere nel mondo. Ecco, attraverso questa riflessione giungiamo a delle definizioni di ciò che siamo.
Attenzione però, l’introspezione non è sempre innocua e accurata. Infatti, possiamo riflettere su di noi e renderci conto che siamo arrabbiati, innamorati, felici o infelici ma non è detto che riusciremo a dire perchè. Non è detto quindi, che riusciremo a risalire alla causa del nostro sentire o agire e possiamo attingere alla spiegazioni più plausibili piuttosto che alle più vere. Cosa possiamo fare per non inciampare troppo spesso in questo ostacolo? Non avere fretta di giungere alle conclusioni. Soprattutto quando l’introspezione fa emergere emozioni e sentimenti forti che fai fatica ad accettare o comprendere, datti tempo. E se non riesci a farlo in autonomia fatti guidare da un terapeuta.
I comportamenti
Un altro modo per conoscerci è osservare i nostri comportamenti. Se ci pensi, formuliamo dei giudizi, delle opinioni sull’altro in funzione del suo agire, dell’analisi che noi facciamo dei suoi comportamenti. La stessa identica cosa la facciamo con noi. Per spiegarti come funziona questa autoanalisi dei comportamenti ti presento la teoria dell’autopercezione di Bem (1972) che evidenzia come ogni volta che non abbiamo una chiara definizione di noi stessi per una determinata dimensione, ci focalizziamo sul nostro comportamento per aiutarci a definrla. Ad esempio, fai fatica a comprendere se il lavoro che stai facendo fa per te oppure no. Per chiarire un po’ la situazione puoi attingere ai tuoi comportamenti: la mattina quando ti svegli o la sera quando vai a dormire e sai che devi andare a fare quel lavoro come ti comporti? Dormi o non dormi? Ti svegli e se puoi ti organizzi per evitare una certa situazione? Sei scontroso e reagisci con rabbia e frustrazione ad ogni osservazione? E questi comportamenti sono dovuti alla mansione pura e semplice quindi al lavoro in sè o al rapporto con i colleghi? O alla cattiva conciliazione vita-famiglia? Insomma, i nostri comportamenti possono fungere da supporto al nostro definirci.
Il confronto
Una terza fonte di conoscenza è il confronto che attuiamo con le altre persone. Qualche anno fa e nemmeno troppo tempo fa (1954), Festinger propone la teoria del confronto sociale, sostenendo che la conoscenza delle nostre caratteristiche sia fine a se stessa se non conosciamo le caratteristiche dell’altro. Ad esempio, se in un esame univeristario prendi 26/30 sarai contento oppure no? Molto dipende da quanto hanno preso le persone attorno a noi. Infatti, se la media dei punteggi è 24/30 e tu hai preso 26/30 sarai più contento. Se invece, la media è 30/30 e tu hai preso 26/30 sarai meno soddisfatto. Questo tipo di confronto è messo in atto in particolare, in quelle situazioni di incertezza. Quindi nel nostro esempio, nei primi anni di università, quando si sta testando la proria adeguatezza al percorso di studi. Aspetto curioso, è che le persone che scegliamo per confrontarci sono solitamente, quelle più simili a noi perchè il confronto risulterà più informativo per il proprio sè. Inoltre, il confronto con l’altro può differenziarsi in confronto verso l’alto o verso il basso. Nel primo caso, decido di confrontarmi con persone con qualità leggermente più elevate in quel campo per capire il mio livello e il lavoro che devo fare per raggiunegere il loro status. Nel secondo caso, il confronto avviene con persone con qualità leggeremente inferiori per trovare conferma sul proprio valore.
I sè possibili
Da quanto ho scritto nei paragrafi precedenti potrà forse sembrarti che per conoscerci utilizziamo le informazioni che abbiamo su di noi nel nostro presente, nel nostro passato lontano e vicino. Ed è esatto, ma ci definiamo anche in funzione dell’immagine che abbiamo di noi nel nostro futuro, vicino o lontano. Passiamo diverso tempo a pensarci proiettati nel futuro, immaginando come dovremmo essere o come vorremmo \ potremmo essere. Si tratta di rappresentazione di sè desiderate e ritenute probabili, potenzialmente realizzabili. Markus e Nurius (1989) hanno definito tali rappresentazioni con il nome di Sè possibili, indicando quelle parti del proprio sè orientate al futuro e che hanno una funzione importante nel guidare le azioni delle persone. Possiamo paragonare i sè possibili ad una bussola, ci orientano, ci portano verso una strada piuttosto che un’altra. Cioè tanto più chiari sono i nostri obiettivi per il nostro futuro e tanto più questi obiettivi sono probabili, tanto più immaginarsi nel futuro con quegli obiettivi realizzati risulta un’oittima strategia per mantenere nel tempo la motivazione alta e l’impegno necessario per raggiungerli.
I sè possibili lontani nel tempo
Cosa succede se i nostri obiettivi in ambito lavorativo, ad esempio, sono chiari e reali, raggiungibili ma lontani nel tempo? Ad esempio, ho 20 anni e so che voglio diventare un pediatra, è chiaro per me, ho inizato gli studi e questa convinzione accresce. L’obiettivo è probabile perchè posso frequentare l’Università e studiare per raggiungerlo. Però prima che si realizzi ci vuole tempo, pazienza e tanti piccoli ma importanti step da superare. Subentra il completamento simbolico di Wicklund e Gollwitzer (1982), cioè quando la concretizzazione dell’obiettivo è lontana si possono ricercare simboli sostitutivi che segnalano a sè e agli altri la costruzione di quell’obiettivo e quindi, di una nuova parte di sè. Nel nostro esempio, lo studente si può impegnare in cause mediche che salvagurdano la salute dei bambini, può impegnarsi nella divulgazione o nel volontariato per sentirsi sempre più vicino al suo obiettivo.
Non diementichiamoci che i Sè possibili possono essere anche negativi, è possibile vedersi proiettati in situazioni negative, di dolore, di sfiducia a causa di circostanze sfavorevoli. Ci può aiutare essere consapevoli del potere che il nostro modo di vederci nel futuro ha nell’influenzare il nostro presente. Lavorare quindi, affinchè accanto ad una proiezione negativa del sè ci sia una proiezione positiva.
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Materiale di approfondimento:
L. Castelli, 2015. Psicologia sociale cognitiva. Un’introduzione. Lecce: Editori Laterza
La teoria dell’autopercezione di Bem, 1972. Articolo Scientifico.
La teoria del confonto sociale di Festinger, 1954. Articolo scientifico.
Grazie, Marti.